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Disabilità: la comunicazione aiuta a superarla, insieme a coerenza e concretezza

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Questo il feedback degli ospiti di Inclusion Job Talk del 14 giugno scorso, che hanno risposto alla domanda: l’over-communication può davvero contribuire a superare la diversity o siamo di fronte a un nuovo brand washing? Ad animare la discussione Fabio Insenga, vice direttore di Adnkronos, media partner di Inclusion Job Day.

I concetti chiave secondo i relatori della tavola rotonda

La parola “diversity” è entrata a far parte del nostro lessico quotidiano, non soltanto all’interno delle aziende. Anche il linguaggio della pubblicità, attraverso testi e immagini, diventa più inclusivo per rispecchiare il cambiamento in corso nella società. Si tratta di un impegno autentico o di un risveglio di coscienza di sola facciata?

Interessanti i pareri dei partecipanti a Inclusion Job Talk, la tavola rotonda che ha preceduto i lavori di Inclusion Job Day, l’evento on line ideato da Hidoly e Cesop HR Consulting Company con lo scopo di favorisce l’incontro fra le imprese e le persone con disabilità e appartenenti alle categorie protette alla ricerca di un nuovo percorso professionale.

Ognuno dei relatori ha fornito una personale chiave di lettura soffermandosi su una parola-guida. Per Ruggero Dadamo, HR Director di Pagani Automobili, una lunga carriera alle spalle in ambito risorse umane, è coerenza. “In molte aziende si parla di D&I, ma se vogliamo evitare l’effetto brand washing deve esserci congruenza fra ciò che si fa in azienda e ciò che si offre alle persone all’esterno dell’azienda. Accanto a questo concetto non deve mai mancare il rispetto, perché ogni individuo deve sentirsi accolto per arrivare a una piena integrazione. È un lavoro lungo, che richiede molto impegno e deve coinvolgere i dipendenti, come veri e propri ambassador”.

In Pagani è nato l’“Inclusion Team” formato da nove rappresentanti di diverse aree aziendali che promuovono una cultura basata sull’apprezzamento delle differenze legate a genere, età, multiculturalità, disabilità, LGBTQIA+ con l’obiettivo di favorire l’inclusione e un trattamento equo per ogni collega, indipendentemente dalle caratteristiche individuali, per migliorare il benessere e la performance lavorativa.

Ben venga la comunicazione perché di disabilità bisogna parlare per farla conoscere e per abbattere visioni errate e distorte ed eliminare atteggiamenti pietistici che non aiutano l’integrazione. È il pensiero di Giovanni Ferrero, Direttore della Consulta per le Persone in Difficoltà (CPD) di Torino.

“Non demonizzo il brand washing, a patto che da un obbligo legislativo un’azienda evolva e intraprenda un percorso serio, attraverso piccoli passi, sapendo che la strada verso una vera integrazione delle persone con disabilità è lunga e impegnativa. Bisogna lavorare molto sulla cultura coinvolgendo i dipendenti, rendendoli partecipi di un cambiamento di cui saranno loro stessi amplificatori parlandone in famiglia e con gli amici contribuendo così a mutare comportamenti e atteggiamenti”.

Ferrero porta l’esempio dell’Agenda della Disabilità, progetto a cura di CPD e Fondazione CRT, che ha proprio il compito di accompagnare le aziende in questa transizione. Fra le iniziative, un corso sul Disability Management – e non Manager – per sottolineare l’importanza di coinvolgere nel cambiamento ogni area e ogni processo dell’impresa e non una singola figura professionale.

Inclusione, parola magica: quando c’è, svanisce

Con questa frase ad effetto inizia il suo intervento Marta Grelli, CEO di Travelin, l’app dedicata all’accessibilità di chi viaggia, che per questo suo impegno è stata insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica dal presidente Mattarella. Il suo intervento richiama l’attenzione sulla disabilità come valore nel suo duplice significato: sia perché un’azienda che ha tra i suoi core values i temi legati a D&I è più competitiva, sia perché spesso si dimentica che le persone con disabilità sono dei clienti che possono generare valore economico al pari di altri target.

A dimostrazione che la disabilità faccia la differenza, in positivo, cita una situazione verificatisi nella sua azienda. “Tra i nostri collaboratori, il responsabile delle PR è balbuziente. Penserete sia un paradosso. E invece lo abbiamo fatto perché ci siamo resi conto che i nostri clienti lo ascoltano con maggiore attenzione, mostrano una maggiore concentrazione quando è lui a parlare. E’ un caso in cui una disabilità si è trasformata in un punto di forza”.

Per Manuela Pioltelli la parola-chiave è partecipazione. Secondo la responsabile dell’Area Collocamento Mirato dell’agenzia per il lavoro Umana, di D&I si parla molto, sembra essere un concetto quasi di moda, ma la realtà delle aziende è ben diversa. Si parla di inclusione ma dov’è la partecipazione delle popolazioni aziendali su questi temi e cosa si fa realmente per coinvolgere le persone con disabilità?

“Noi di Umana lavoriamo a fianco delle aziende entrando nella loro cultura, cercando di capire il vissuto emotivo e cognitivo esistente rispetto a questi temi e lo facciamo coinvolgendo i vari referenti che chiamiamo a rispondere a questionari. E molto spesso ci rendiamo conto che certi comportamenti, certe paure nascono semplicemente dalla non conoscenza. E quando capiamo che la disabilità è qualcosa di molto vicino a noi stessi, cambia il modo di percepirla e di affrontarla”.

A concludere l’incontro, la professoressa Giusi Antonia Toto, docente di Didattica e Pedagogia Speciale, delegata alla Formazione Insegnanti, alla Formazione continua e all’Orientamento dell’Università di Foggia. Il suo intervento inizia con una nota positiva, dedicata al confronto fra l’Italia e la situazione degli altri Paesi.

“In questi giorni mi trovo in Polonia e mi fa piacere sottolineare come all’estero, non soltanto qui, ci vedano come un modello per quanto riguarda la cultura della D&I. Ciò non significa che non esistano ancora in casa nostra atteggiamenti che dobbiamo correggere e superare”.

E a questo proposito la docente cita il progetto di ricerca “Mission Inclusion” che ha curato recentemente dove emergono differenze rilevanti fra aziende italiane del Centro Nord e del Sud a svantaggio delle seconde, dove mancano la preparazione e un approccio all’ascolto. In questi casi si può rivelare utile una figura specifica, il job coach, che ha il compito di portare l’azienda e le sue persone verso una transizione culturale quanto mai necessaria.

Per rivedere il video della tavola rotonda clicca qui.


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