Le politiche di diversity & inclusion sono sempre più considerate una leva strategica per le grandi aziende internazionali e sempre di più le aziende più prestigiose della consulenza forniscono report su come sappiano tradursi anche in valore di business. Creatività e innovazione attingono largamente dalla diversità di punti di vista, di esperienze e di competenze: la diversity & inclusion non è più finalizzata alla responsabilità sociale d’impresa o a raccoglierne il beneficio a livello etico-sociale. Le grandi aziende hanno compreso quanto la diversity & inclusion sia strategica per continuare a prosperare e per avere un ruolo attivo e partecipato nella società.
E le piccole medie imprese? Ebbene, il quadro della diversity & inclusion nelle PMI è molto più polverizzato e di difficile lettura. Intanto va detto che la PMI sono meno strutturate e con numeri di persone più bassi. Questo rende difficile la creazione di una struttura dedicata alle politiche di diversity management o alla presenza della figura del diversity manager.
Questo non vuol dire che si privino o si debbano privare dei vantaggi che le grandi aziende stanno raccogliendo dalla diversity & inclusion. Vantaggi che una adeguata cultura di inclusione può attrarre. Esistono poi degli aspetti peculiari per l’Italia che vanno tenuti in considerazione e che possono influenzare l’adozione di politiche di diversity & inclusion. Pensiamo alla legge 68, per l’inserimento lavorativo delle persone appartenenti alle categorie protette. Molto spesso in passato le soglie numeriche imposte dalla legge hanno condizionato l’attivazione di politiche di inclusione all’interno di aziende con meno di 15 dipendenti. In realtà l’approccio alla diversity & inclusion deve essere di più ampio respiro anche per le PMI. Un approccio che sicuramente deve sapere includere la disabilità, a prescindere dal numero di dipendenti dell’azienda.
L’emergenza del Covid-19 ha reso palese come alcuni progressi degli ultimi decenni, ritenuti significativi, siano stati in realtà più modesti di quanto sembrava. Per le persone con disabilità che hanno vissuto un periodo che ha messo in evidenza le fragilità di assistenza e di struttura inclusiva del Paese. Ma non solo per loro. Ad esempio, nella parità di genere il periodo che abbiamo trascorso ha decisamente sfavorito il genere femminile relegandolo ad occuparsi ancora di più di casa e famiglia. Questo a svantaggio di qualsiasi ambizione lavorativa, portando indietro le lancette.
Poi è sempre più evidente l’emergere della consapevolezza sull’aspetto della diversità etnica e dell’esigenza di utilizzare gli strumenti della diversity & inclusion per “portare veramente a bordo” della società italiana, le seconde generazioni di persone di origine straniera e le persone di recente immigrazione. Anche in questo caso un patrimonio di punti di vista, di esperienze e di valore che non va sperperato. I progressi che si fanno in precisi ambiti, ad esempio in termini di inclusività verso alcune macro-diversità come il mondo LGBT+ o le persone con disabilità devono diventare patrimonio comune di tutte le PMI e in tutte le direzioni. Creando contesti dove diversity & inclusion non rimangano solo paradigmi apparentemente ad appannaggio esclusivo di grandi aziende.