Lo spiega Paola Profeta, prorettrice per Diversità, Inclusione e Sostenibilità all’Università Bocconi, docente ordinaria di Scienza delle Finanze e direttrice del Corso Diversity & Inclusion Management. Nonostante l’evidenza dei dati a favore di una leadership inclusiva, molte ancora le sfide da affrontare.
Nelle aziende in cui l’inclusione è una scelta consapevole e un asset strategico, migliorano le performance, il benessere dei dipendenti e, di conseguenza, la reputation. Ma perché, allora, è ancora così difficile adottare uno stile di leadership inclusivo? Quali sono le barriere che ne frenano l’adozione? Secondo Paola Profeta, intervenuta all’incontro sull’Inclusività Competitiva, organizzato da Edi Eccellenze di Impresa lo scorso giugno a Milano, quattro sono le sfide fondamentali da affrontare: la parità di genere, l’invecchiamento della popolazione, la guerra dei talenti e, infine, l’intelligenza artificiale.
Inclusione vuol dire anche parità di genere
Nessun paese al mondo ha raggiunto la parità di genere, nonostante i progressi fatti rispetto agli ultimi 20-50-100 anni. Secondo il World Economic Forum, si è chiuso il divario in salute al 96%, in istruzione al 95.2%, ma resta al 60.1 nel mondo del lavoro e al 22% in politica. L’Italia ha ancora molta strada da fare; si trova al 79° posto su 146 nazioni prese in esame ed è all’ultimo posto fra i paesi europei per quanto concerne il mondo del lavoro: solo 1 donna su 2 ha un’occupazione, 1 su 3 al Sud. Eppure, se in Europa si passasse da un processo lento a un processo veloce verso la parità di genere, entro il 2025 il PIL pro-capite potrebbe aumentare dal 6,1 al 9,6 e in Italia del 12%.
Leadership inclusiva e talenti
Un tema strettamente legato alla leadership inclusiva è quello dell’attrazione dei talenti. Diversi studi dimostrano infatti che, quando un’organizzazione si apre a una platea maschile e femminile, migliorano i processi di selezione e la qualità, si crea un sistema di incentivi anche per persone che si sentirebbero escluse dai processi di selezione e si attraggono talenti. Venendo ai risultati, c’è una stretta correlazione tra inclusività e performance delle aziende, crescita sostenibile e un’agenda decisionale più ricca a vantaggio di tutti, prendendo in considerazione temi che, altrimenti, non sarebbero valutati. Ci sono poi alcuni elementi che caratterizzano le organizzazioni dove c’è una leadership bilanciata fra uomini e donne che sono, ad esempio, l’avversione al rischio, la negoziazione e un orizzonte temporale più lungo.
Multigenerazioni al lavoro
Un altro aspetto dell’inclusione riguarda il tema dell’ageing. Stiamo vivendo un momento in cui l’invecchiamento della popolazione porta alla coabitazione di più generazioni in azienda; abbiamo persone con un diverso approccio alle nuove tecnologie che comunicano in modo diverso, con aspettative di crescita professionale più ambiziose rispetto al passato, con maggiori esigenze di flessibilità e di work-life balance. Tutto questo richiede un atteggiamento aperto e inclusivo.
Come si realizza l’inclusone in azienda?
Secondo la professoressa Profeta l’obiettivo si può raggiungere attraverso tre aspetti: adottare buone pratiche, avere leader inclusivi, eliminare stereotipi e pregiudizi per promuovere un vero cambiamento culturale. In sintesi, significa saper attrarre i talenti (a cominciare dall’uso di un linguaggio inclusivo negli annunci di lavoro e all’analisi di cv anonimi per eliminare le discriminazioni), essere capaci di svilupparli (con programmi di training per le diverse generazioni, compensi e valutazioni secondo regole trasparenti, bonus per i supervisori legati ai criteri di diversità e inclusione) e riuscire a trattenerli (migliorando i programmi di welfare, eliminando ogni forma di molestia e favorendo una nuova organizzazione del lavoro più flessibile). Costruire una leadership inclusiva vuol dire valorizzare le esperienze e i talenti di tutti, dialogare e saper ascoltare, creare un ambiente dove tutti si sentano rispettati ed essere consapevoli delle differenze presenti nell’organizzazione. Ma la parte più difficile riguarda l’eliminazione degli stereotipi: lo dimostrano i risultati di alcuni test che misurano i bias impliciti con domande e associazioni fra concetti di carriera e famiglia legati rispettivamente a uomo e donna. Le risposte dei manager intervistati si sono rivelate, purtroppo, in linea con la media degli utenti che hanno partecipato alla survey ma, considerando che si tratta di chi gestisce le organizzazioni e deve prendere decisioni in azienda, non è una notizia confortante.
Anche l’IA va “educata”
L’intelligenza artificiale può rivelarsi un utile supporto nel facilitare un approccio inclusivo perché può aiutare nella personalizzazione delle piattaforme di apprendimento e nello sviluppo di strumenti di comunicazione collaborativi o nella gestione dei talenti, ma si è visto che anche l’IA può essere influenzata da pregiudizi e stereotipi. Quindi il fattore umano resta fondamentale per impostare programmi e sistemi di intelligenza artificiale che tengano conto di linguaggi inclusivi evitando stereotipi e pregiudizi per raggiungere l’obiettivo di sviluppo di una vera cultura inclusiva.