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Le domande giuste per favorire l’integrazione delle persone con disabilità

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“Diversità e integrazione per vivere bene sul luogo di lavoro” è il tema scelto per l’Inclusion Job Talk che ha preceduto i lavori della 15ma edizione di Inclusion Job Day. Una tavola rotonda che, come di consueto, ha offerto stimolanti spunti di riflessione

Di che cosa hai bisogno? Una domanda semplice, forse scontata, ma quasi mai rivolta in modo chiaro e diretto da parte di imprese, istituzioni e servizi sociali alle persone con disabilità. Obiettivo: far sì che possano manifestare le loro necessità per sentirsi realmente integrate. In ogni ambito: professionale, sociale e persino famigliare.

E’ il focus comune agli interventi dei relatori della tavola rotonda che il 25 ottobre ha preceduto i lavori di Inclusion Job Day, il career day online giunto alla 15ma edizione. Un evento che, a ben vedere, nasce nel 2020 da una domanda: di che cosa hanno bisogno le aziende? di quali mansioni e profili? E gli iscritti, quale tipo di datore di lavoro e di posizione ricercano per sentirsi realizzati e integrati?

Le parole-chiave

Ascolto, relazione, comunicazione, partecipazione sono le key words che più sono state citate dagli ospiti, a cominciare da Barbara Bìchiri, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Baldissero Torinese. E’ stata lei a voler aggiungere l’estensione  “Rapporti con i servizi socio-assistenziali” al suo ufficio. “Perché -spiega – credo nelle relazioni con gli enti di riferimento con cui avere uno scambio continuo e molto pragmatico per sondare i reali bisogni delle persone. Una convinzione che deriva anche dalla mia condizione di madre di due ragazze disabili. Un approccio che trova conferma nell’esperienza che sto vivendo frequentando il master della SAA in Disability Management”.

Coaching sinonimo di approccio

E quanto è importante il ruolo del coaching nel processo di integrazione all’interno di un gruppo di lavoro? Lo ha raccontato Dario Migliavacca, People and Team Development coach. “Possiamo definirlo come un approccio che tutti possono applicare in ambito professionale, e non solo. Fare coaching significa sapersi mettere da parte per dare risalto all’altro, saperlo ascoltare, fare le domande giuste: che cosa ti serve? di che cosa hai bisogno per poter performare? Vuol dire anche supportare la persona a trovare le risposte, saper essere accoglienti, non in senso maternale ma in modo da responsabilizzare chi vogliamo aiutare. Senza mai giudicare e facendo ricorso alla comunicazione efficace, se vogliamo che una relazione diventi tale”.

Disabilità come mancanza

Giuseppe Perfetto, psicoterapeuta e psicologo del lavoro, parte dal concetto di disabilità come “incarnazione di una mancanza, sia di tipo fisico, psichico o sensoriale”. Secondo Perfetto, bisogna chiedersi come il singolo o il team di lavoro reagisce di fronte a questa mancanza. “Un percorso corretto prevede di individuare le mansioni più adatte rispetto alle risorse della persona disabile. E’ giusto che venga presentata all’interno del team non per esasperare le sue mancanze ma, al contrario, per evidenziare le sue capacità. Ma attenzione a non cadere nell’errore di considerare tutte le persone allo stesso modo. Ognuno di noi ha le sue mancanze e l’azienda deve saperle riconoscere in ogni soggetto e gestirle al meglio”.

Inclusione vs partecipazione

Quando si smetterà di parlare di inclusione a favore di partecipazione sarà un giorno felice, secondo Manuela Pioltelli, responsabile Area Collocamento Mirato dell’agenzia per il lavoro Umana. La partecipazione passa attraverso la conoscenza dei bisogni delle persone con disabilità ed ecco che torna il focus sulle domande. “Ci siamo mai chiesti quali sono le necessità delle persone disabili che si rivolgono a noi? In base alla mia esperienza, sono soprattutto tre le cose richieste. Il tipo di contratto, perché contribuisce a rendere la persona un soggetto sociale, quindi ne abilita la partecipazione alla società. Poi ci chiedono di poter lavorare in un ambiente sereno. Vuol dire, ad esempio, non ricevere domande scomode sulla propria disabilità, su cosa la persona non riesce a fare, invece di interessarsi a quali sono le sue capacità. Infine, l’accessibilità ai luoghi di lavoro a 360 gradi. Ci sono casi in cui le aziende hanno strutture e dispositivi per accedere agi uffici ma non alle mense o ad altri luoghi i aggregazione. Tutto ciò, ovviamente, limita la partecipazione a una vita sociale realmente condivisa con gli altri”.

A moderare l’incontro, il giornalista Fabio Insenga, vice direttore dell’agenzia di stampa Adnkronos, media partner di Inclusion Job Day. Ad aprire e concludere i lavori, i due partner a cui si deve la creazione dell’evento: Cesop HR Consulting Company e l’agenzia di comunicazione Hidoly. Alessandro Pivi di Cesop ha ribadito l’importanza di Inclusion Job Talk, non un semplice rituale entrato nella programmazione del palinsesto. “E’ uno strumento che, grazie alla partecipazione di figure di alto livello e competenza, favorisce realmente la diffusione di una cultura più inclusiva”. Roberta Barba ha ribadito l’impegno dell’agenzia Hidoly a indagare i temi di DE&I. A questo proposito, ha ricordato l’iniziativa rivolta alle aziende, lanciata recentemente. “Si tratta di un’indagine che, attraverso un ampio questionario, si propone di creare un osservatorio per valutare il livello di maturità raggiunto in Italia e condividere le best practices”.

Le aziende che volessero aderire possono scrivere a segreteria@inclusionjobday.com

Per rivedere il video della tavola rotonda clicca qui.


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