Emanuela Zappella è assistente alla ricerca presso il CYFE (Center for Young and Family Enterprise) dell’università di Bergamo. Per conto di ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sezione Italia e San Marino ha realizzato lo studio “L’inclusione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro in Italia. Una panoramica delle pratiche aziendali e dei partenariati”.
Cultura inclusiva in azienda: come definire in poche e semplici parole questo concetto?
«Ė una cultura che si basa sulla condivisione di valori e pratiche finalizzate all’inserimento del lavoratore disabile in azienda nonché al suo contributo attivo nel contesto in cui si trova ad operare. In altre parole, una cultura che fa del senso di partecipazione la base per ottenere buoni risultati.»
Può citare qualche esempio virtuoso tratto dalle sue ricerche?
«In Italia non mancano gli esempi virtuosi. Mi riferisco, ad esempio, all’attenzione riservata da alcune aziende alla selezione del personale in un’ottica che non si basa sulla disabilità fine a sé stessa, ma sul valore aggiunto che le capacità del soggetto possono rappresentare. Da ricordare anche i sistemi di organizzazione e di accessibilità dati e informazioni adottate da numerose imprese che rendono più facile il lavoro per chiunque.»
Quali sono le resistenze che limitano il pieno sviluppo di questa cultura?
«Si assiste in Italia a ritardi della politica. Mi spiego meglio: le leggi ci sono, ma spesso le aziende – in particolare le piccole e medie – non sono messe in condizioni di sviluppare una vera inclusione lavorativa. Ne consegue che le norme vengono percepite come un vincolo da rispettare e l’assunzione del personale disabile un problema piuttosto che un’opportunità di crescita non solo sul piano della produttività, ma anche per quel che concerne il valore sociale dell’impresa.»
Si parla spesso di approccio da parte del contesto verso il lavoratore con disabilità, ma esiste un approccio corretto che deve avere quest’ultimo?
«Deve sentirsi protagonista e mettere a disposizione le sue competenze. Naturalmente non si può generalizzare in quanto esistono diversi livelli di disabilità che influiscono sull’approccio personale. La responsabilità dell’individuo è fuori discussione, ma indubbiamente le buone pratiche in ambito lavorativo e lo sviluppo di uno specifico mindset dei colleghi sono aspetti essenziali affinché questa responsabilità possa avere il suo spazio.»
In fatto di cultura inclusiva in azienda in Italia a che punto siamo rispetto ad altri paesi europei?
«Il nostro paese lentamente sta superando il gap che lo divide da altre realtà europee con sistemi normativi diversi. Occorre, tuttavia, sottolineare che all’interno del nostro continente, grazie anche all’azione dell’Unione Europea, si assiste a un confronto continuo tra le diverse esperienze. Oltre all’UE ricordo anche l’impegno dell’ILO a creare una rete di buone pratiche. Il suggerimento, dunque, è rimanere sempre pronti e ricettivi in un atteggiamento di apertura.»
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Emanuela Zappella